Aria di neve nell'attesa © ComPensAzione
Aria di neve nell'attesa
notte di silenzi
nelle corsie in penombra
le sedie scomode
i maschi spauriti
dal mistero sconosciuto
il fremito della gamba in ansia
il tempo scandito
dalla loro fuga al vizio
lo sguardo alla porta
che non s'apriva mai
Poi è arrivata
piccolo fagotto rosa
il suo respiro nuovo
a confondersi col mio
Il ritorno a casa
notte di faville bianche
(a Rachele, primo ramo del mio ramo)
Sliding doors: Era una notte buia e tempestosa
© shadow58am
Sliding doors: Era una notte buia e tempestosa
Anna aveva sempre avuto una cura davvero maniacale per la sceneggiatura.
Scelse quella sera di temporale per lasciare Giorgio. Aveva le sue ragioni, lui non avrebbe mai avuto la forza di farlo. Lei era libera, economicamente indipendente, senza bagagli al seguito, appena più giovane di lui e con una voglia di viversi che non aveva uguali. Lui, per farla breve, stava all’opposto. Le voleva così bene che non fece nessun tentativo per farle cambiare idea. Il frastuono della tempesta era tale che Anna non sentì nemmeno l’ultima sua frase: “Abbi cura di te, ogni tanto dammi tue notizie”. Già camminava spedita verso la sua scelta.
Giorgio restò lì, immobile e sommerso dall’acqua che gli cadeva addosso. Fu il
primo lampo a scuoterlo. Sentì freddo. Raggiunse il locale che stava sull’altro bordo della strada.
Appena fu dentro venne fulminato dallo sguardo della barista. In quegli occhi
si sarebbe potuto leggere “Ma non vede che è tutto bagnato, se ne vada
via.” Non rispose alla possibilità offerta solo perché i suoi occhi erano momentaneamente ciechi. Raggiunse il bancone di quello che adesso gli sembrava un posto vecchio e immobile almeno quanto lui. Lo racchiuse tutto in un giro di capo che mise a fuoco tutti gli oggetti presenti.
Niente, se si escludono le bottiglie negli scaffali, poteva avere un’età inferiore agli ottanta anni. Non c’era movimento in quello spazio, nessun suono. La gente ai tavoli: sagome e profili vecchi. Le facce nascoste nelle mani. Indistintamente maschi e femmine. Gente immobile almeno quanto lui.
“Cosa desidera Signore?”
L’occhio attento aveva scovato uno sprazzo di vita. Una donna bisbigliava
all’orecchio di un uomo qualcosa. Si concentrò sull’attimo per carpire un barlume di speranza.
“Cosa desidera Signore?”
Cercava un appiglio, fu distratto dal pendolo, vecchio anche lui, segnava l’una
e trentasette, quando…un lampo, il secondo, portò l’oscurità al locale.
…………………….
All’una e quarantacinque l’occhio si era assuefatto al buio. Non è mai troppo
buio, lampade a petrolio, brace di sigaretta, riflessi rischiarano appena. Il temporale era ancora in atto, dalle finestre entravano lampi e i riverberi delle pozzanghere. Non è mai troppo buio, l’occhio si abitua rapidamente alla penombra e la scena comincia ad animarsi.
L’ambiente del locale trasferito nei ricordi, anzi anche quelli spariti. Una nuova dimensione che non trovava correlazione nell’altra. Giorgio non poteva nemmeno confrontare l’attualità con l’attimo prima in cui aveva messo a punto tutti i particolari. Tutto scordato, nemmeno un minimo di reminiscenza restava. Anche il temporale, unico elemento che univa le scene con i suoi lampi, tuoni, rumore di fondo era solo l’adesso. Era dentro la reminiscenza e non lo sapeva.
Fu allora che una nuova coscienza, organizzata dall’ignoto dualismo cervello-pensiero, vide.
Lo spazio era vuoto. Circondato da una barriera circolare ricca di ingressi. Al di là della barriera si intuiva esistesse il pieno. Giorgio decise di dare un nome all’oltrebarriera, trovò una parola sconosciuta sino ad allora, un neologismo che suonava bene: Vita. La Vita non ha confini, occupa tutto lo spazio messo a disposizione. La Vita occupa il dualismo e si interessa degli spazi vuoti.
E’ buio e dalla porta di Sud-Est si intravede un’armata a cavallo. Si schiera in perfetto allineamento. Un cavallo bianco è montato da un giovane. La schiera urla il suo nome ripetutamente: Alessandro, Alessandro, Alessandro. Una piana verde, di fronte le mura di una città. Il cavallo bianco si impenna, la città verrà conquistata.
E’ buio e dalla porta Ovest ecco arrivare un’altra branco disordinato di cavalli, pezzati e montati da uomini nudi dipinti nel volto con ornamenti piumati. Urlano parole incomprensibili, suoni gutturali. Una piana verde, di fronte l’accampamento avversario. I cavalli partano al galoppo, l’accampamento verrà conquistato.
E’ buio e dalla porta Nord appare un esercito rumoroso trasportato da ferri cingolati scende verso la vecchia pseudo-civiltà. Sono invasati. Il loro capo assente. E’ solo una folle voce che dà ordini dal palazzo. Una voce che, nessuno ha mai capito come, è riuscita a coinvolgere milioni di persone a commettere crimini che non possono più essere cancellati. Una piana verde di fronte e territori immensi da conquistare. I cingoli raspano il terreno. La pseudo-civiltà verrà irrimediabilmente trasformata.
Dalla porta Sud una Donna cammina. Altissima, dalle forme perfette, è nera,
di quel nero che brilla. Ha un passo nobile, deciso, austero. Sa benissimo dove si sta infilando, ma non accenna a retrocedere, tanto meno a fermarsi. Ha un messaggio da consegnare agli eserciti dei tempi. Passa la porta Sud e raggiunge lo spazio vuoto nello stesso attimo che il sole è allo zenit. Sente il fragore delle armate, stanno per usurpare lo spazio vuoto, sarà un massacro, il solito inutile scontro tra ideologismi inutili. Nel centro dello spazio vuoto, la Donna si toglie la sacca dalla schiena, ne estrae il contenuto nudo, lo prende fra le mani e lo innalza al cielo. Non piange, sorride, si sbraccia, scalpita….le armate…le armate...le armate...sono…
……………….
Improvvisa tornò la luce, un lampo di ritorno forse.
Una nuova dimensione che non aveva correlazione nell’altra. Giorgio non
poteva nemmeno confrontare l’attualità con l’attimo prima in cui aveva messo a punto tutti i particolari vedendo dentro l’evolversi dei tempi su sino al tempo che deve ancora venire. Tutto scordato, nemmeno un minimo di reminiscenza restava. Il temporale unico elemento che univa le scene se ne era andato. Dalla finestre la luna faceva occhiolino, le stelle brillavano.
Era la una e quarantasei
Al banco una splendida Donna dalla pelle scura ripeteva:
“Cosa posso servirle signore? …Cosa posso servirle signore?”
“Qualcosa di forte” rispose Giorgio e non sapeva perché.
Era un sabato © Grizabella1
Era un sabato
Vagavano avverse sensazioni
su lontane memorie d'amore
non più domani ad aspettarci
solo il viale oscuro di "un giorno o l'altro"
[premo i palmi sulla fronte
per alleviare il peso dei ricordi]
poi quel sabato di brocantes
con amici di sempre
- sole caldo fine estate -
tra la gente a Ponte Milvio
[è sempre in ritardo
non cambierà mai"]
... un messaggio spaventato
l'inutile corsa di un taxi
l'urlo mio e dell'ambulanza
e poi la mia inerme rabbia con Dio.
Ci incamminammo senza sapere © taglioavvenuto
Ci incamminammo senza sapere
tenendo le dita intrecciate
mignolo al mignolo
l'alluce che s'aggrovigliava all'alluce
ciabattine verde fumo all'infradito
Dove finiremo chiedevamo
fissando il cielo rosso del bel tempo
spera
Incocciammo un sentiero, sabbia battuta
e una sterminata fila di pick up
Guarda esclamò lei
Hai la benzina?
Ora potrebbe anche essere © sellyselly
ora potrebbe anche essere
che fu la porta sbattuta
sul ciglio del bosco
o un colpo di vento, di coda
una puntura di fiore
il profumo incastonato ai nodi
a consacrare per sempre la carne
siedo su tutti i passi a due
senza più riscontri
io
non vedo che il distillare di maggio
l'assaggio azzardato delle more acerbe
poi un gocciolare
custodito nella mia pancia nei mesi
e un frutto scalzo
nel più bel gennaio delle nostre attese